L’anno giubilare si sta avviando pian piano verso la sua conclusione e, in quanto pellegrini di speranza in un mondo dove sembra sempre più difficile trovare le ragioni per continuare a sperare, anche oggi, Gesù ci offre la sua vita che si affida, ama e che, proprio per questo, è stata più forte anche della morte, come àncora cui aggrapparci noi innanzitutto, così da permettere ad altri di farlo.

Nella prima lettura, la vedova e il suo unico figlio sono segno di speranza nell’accogliere Elia che fugge da chi lo vuole uccidere e anche nel gesto sofferto di condividere il poco che avevano per sfamare il profeta: tutto questo è restituito a loro, da Dio, come grazia e benedizione moltiplicata.

È la promessa contenuta anche nel Vangelo di Matteo: “chi accoglie voi (Gesù sta parlando ai Dodici che invia in missione) accoglie me e colui che mi ha mandato… e non verrà meno la sua ricompensa. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, non perderà la sua ricompensa”.

E anche i consigli dell’autore della lettera agli Ebrei: “l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalitàricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo… la vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete”, sono legati ad una promessa di Dio: <<Non ti lascerò e non ti abbandonerò…>>.

Dio non ci chiede cose eccezionali per riversare su di noi la sua grazia: gli basta trovarci disponibili ad offrire un bicchiere d’acqua a chi ha sete.

Quali segni di speranza sono capace di generare io in famiglia, a scuola, nell’ambiente in cui lavoro, nella mia comunità cristiana e civile, nei confronti di chi è più debole e fragile, così che Dio mi possa riconoscere come suo figlio?

Buona domenica e tanti auguri ai festeggiati! Don Alberto